Introduzione: quando decidere è un caos
Sappiamo tutti quanto può essere difficile prendere decisioni, soprattutto in contesti complessi come le organizzazioni. C’è chi si affida al caso (tirando una monetina), chi preferisce i dati, chi decide in base all’intuizione, e chi… guarda l’oroscopo.
Ma esiste anche un’altra teoria, meno conosciuta ma sorprendentemente attuale: la teoria del garbage can, o modello del cestino dei rifiuti. No, non è uno scherzo. È un vero e proprio modello organizzativo che descrive come prendiamo decisioni in ambienti caotici e poco strutturati.
C’è però un particolare sistema decisionale, definito, con un’accezione chiaramente provocatoria, modello del garbage-can (o «cestino dei rifiuti»).
Cos’è il modello del “cestino dei rifiuti”?
La teoria del garbage-can model è stata sviluppata negli anni ’70 da Michael D. Cohen, James G. March e Johan P. Olsen. È pensata per descrivere il processo decisionale all’interno di contesti definiti come “anarchie organizzate” — come università, enti pubblici, aziende giovani o in rapida trasformazione.
Significato del termine “cestino dei rifiuti”
Il termine è volutamente provocatorio: l’idea è che, nelle organizzazioni, problemi, soluzioni, persone e momenti decisionali vengano “gettati” insieme in un contenitore comune, come in un cestino della spazzatura. Le decisioni non seguono quindi un processo lineare, ma sono il risultato di una combinazione casuale e spesso fortuita di questi elementi.
I quattro flussi indipendenti del modello decisionale
Alla base della teoria ci sono quattro flussi che scorrono parallelamente all’interno dell’organizzazione. Vediamoli nel dettaglio:
1. Problemi
Si tratta delle sfide che emergono continuamente: frustrazione lavorativa, conflitti tra dipartimenti, difficoltà finanziarie, scarsa motivazione, etc. Non sempre sono chiaramente definiti (es. frustrazioni sul lavoro, carriera, relazioni di gruppo, distribuzione dello status, aspetti economici, ecc.);
2. Soluzioni
Sì, le soluzioni esistono anche prima dei problemi. Possono essere idee già pronte, strumenti, progetti lasciati nel cassetto, o proposte nate in altri contesti.
3. Partecipanti
Le persone che partecipano ai processi decisionali entrano ed escono di scena continuamente. Il loro coinvolgimento dipende dal tempo, dall’interesse e dalle circostanze.
4. Opportunità di scelta
Sono i momenti in cui si richiede una decisione formale o informale: un meeting, l’approvazione di un progetto, l’assunzione di un dipendente, la firma di un contratto, ecc.
Quando il caos produce una decisione
Nel garbage-can model, questi quattro elementi non si muovono in modo coordinato. Le decisioni emergono quando uno di questi momenti di scelta incrocia casualmente un problema, una soluzione e dei partecipanti disponibili.
Non è detto che la soluzione scelta sia quella “giusta” per il problema in questione. A volte risolve un problema che ancora non è stato definito. Altre volte, semplicemente “funziona abbastanza” da poter essere adottata.
Decisioni (quasi) casuali, ma non inutili
Questo modello sottolinea un aspetto fondamentale delle organizzazioni reali: le decisioni non sono sempre razionali o lineari. Spesso avvengono perché si creano le condizioni minime per agire, anche se i legami tra problemi e soluzioni sono deboli o inesistenti.
Questo spiega, ad esempio, perché alcune decisioni sembrano assurde o scollegate dai problemi reali — ma magari si rivelano utili con il tempo, risolvendo ostacoli ancora non visibili.
Perché il modello del garbage can è ancora attuale?
Viviamo in tempi in cui l’incertezza e la complessità sono la norma. Le aziende cambiano in fretta, le tecnologie si aggiornano ogni sei mesi, e la comunicazione è frammentata. Il modello del cestino dei rifiuti, per quanto paradossale, descrive bene questo scenario fluido.
Ecco perché può essere utile:
Sfruttare il timing: a volte serve solo il momento giusto e le persone giuste al tavolo.
Accettare il disordine: capire che non tutto deve essere perfettamente razionale può alleggerire il processo decisionale.
Valorizzare le soluzioni inutilizzate: idee accantonate in passato possono tornare utili in contesti nuovi.

Una caratteristica molto importante che emerge, è il non necessario accoppiamento tra problemi e soluzioni; non sempre cioè le alternative scelte contribuiscono a risolvere il problema per il quale erano state formulate.
Conclusioni: quando il disordine diventa metodo
Il modello del garbage can non è una ricetta magica per prendere decisioni migliori. Ma è una lente attraverso cui osservare il caos decisionale delle organizzazioni e trasformarlo in un vantaggio.
La prossima volta che una decisione ti sembra senza senso, chiediti: è davvero frutto di incompetenza, o è solo il risultato di problemi, soluzioni e partecipanti che si sono incrociati per caso?
Forse è solo un altro giorno nel nostro personale cestino dei rifiuti organizzativo.