METTETE ORDINE NELLA VOSTRA VITA
C’è un momento, prima o poi, in cui guardiamo intorno a noi e ci accorgiamo che abbiamo accumulato più oggetti che ricordi, più scatole che spazi liberi. E allora ci chiediamo: “perché non buttiamo mai niente?”
Forse è una cantina (o una soffitta) piena di cose “che potrebbero servire”, o un armadio dove convivono vestiti di tre taglie diverse, o una libreria in cui gli scaffali non bastano più.
Capita di dirci: “Lo userò ancora”, “Mi ricorda un bel periodo”, “Non ho tempo di pensarci adesso”. E così rimandiamo. Un giorno dopo l’altro.
Ma dietro ogni oggetto conservato c’è una storia: quella del nostro attaccamento, della nostra pigrizia, o del nostro bisogno di sicurezza.
Fare ordine, però, non è solo un gesto pratico. È un atto simbolico. È riconoscere che certe cose, materiali o emotive, hanno già fatto il loro corso.
E non è facile: gettare via qualcosa significa spesso fare i conti con una parte di noi che non siamo ancora pronti a lasciare andare.
In questo articolo parliamo proprio di questo: delle tre principali ragioni per cui non riusciamo a liberarci di ciò che non serve più: affetto, pigrizia e “lo userò ancora”, e di come possiamo imparare a lasciare andare, per vivere con più leggerezza e consapevolezza.
1. LO USERÒ ANCORA PRIMA O POI
Per anni ho custodito gelosamente tutti i libri, i quaderni e gli appunti dell’università che avevo sistemato in uno scaffale quando ho dovuto lasciare gli studi a un soffio dal traguardo. Ho sempre pensato che un giorno li avrei riutilizzati per raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissata.
Li avevo riposti in una grande scatola chiusa, per evitare che si impolverassero, sopra uno scaffale. Quando i miei occhi la incrociavano, la nostalgia e il rimpianto tornavano. Quella scatola rappresentava un legame con un sogno non ancora estinto, con una vita che non esisteva più.
Li guardavo spesso, con un misto di nostalgia e rimpianto, come se quei fogli rappresentassero una parte di me che non avevo ancora chiuso del tutto.
Così, un giorno, ho deciso di fare un esperimento: ho attaccato sopra la scatola un post-it con una data. Mi sono detta che se entro quella scadenza non li avessi usati, li avrei buttati.
Ma la vita, a volte, riserva sorprese a chi trova il coraggio di scegliere. Invece di buttare la scatola… l’ho aperta.
Ho ripreso in mano quegli appunti, mi sono rimessa a studiare, e poco tempo dopo mi sono laureata con successo, proprio prima della data segnata su quel post-it.
Oggi quella scatola non mi fissa più con senso di colpa. È diventata il simbolo di un ciclo chiuso, di un sogno che ho trasformato in realtà.
E quando la guardo, mi ricorda che a volte le cose che teniamo non sono zavorre, ma ponti: restano lì finché non siamo pronti a dare loro un nuovo significato.
L’utilizzo del post-it è un piccolo gesto, ma concreto. E funziona: la ricerca mostra che gli oggetti non utilizzati per oltre un anno raramente vengono riutilizzati. La loro presenza serve più al ricordo che all’utilità reale.
2. AFFETTO
E qui arriva la seconda ragione: l’attaccamento affettivo.
Anche quando riconosciamo che un oggetto non ci serve più, la mente dice “però quanti ricordi”.
E allora teniamo tutto: le riviste, le foto della prima gravidanza, i diari di scuola, le lettere d’amore, i cd che non ascoltiamo più, la culla dei figli che oggi hanno quarant’anni.
Ma a volte quell’abitudine a non buttare nulla ci lega troppo al passato. Ci fa dimenticare che il ricordo non vive nell’oggetto, ma in noi.
Se un oggetto ci emoziona, possiamo conservarne l’essenza in modo diverso: una foto, un racconto, un pensiero condiviso.
Come diceva Tiziano Terzani, “la storia esiste solo se qualcuno la racconta”.
E noi possiamo continuare a raccontarla, anche dopo aver lasciato andare le sue tracce materiali.
Provate questo esercizio: scegliete tre oggetti che conservate solo per affetto. Fotografateli, scrivete due righe sul ricordo che evocano, e poi donateli o smaltiteli.
Quel gesto vi farà scoprire che la memoria non si perde: si trasforma.
3. PIGRIZIA
E infine, la pigrizia.
Quella che ci fa dire “lo farò un giorno”, “ora non ho tempo”, “non so da dove iniziare”.
Chi ha spazio (una cantina, una soffitta, una stanza in più) tende a rimandare. Lì finiscono le cose che “deciderò dopo”, e quel “dopo” non arriva mai.
Le scuse si moltiplicano: “la discarica è lontana”, “non ho aiuto”, “mi serve troppo tempo”. Ma la verità è che se non pianifichiamo le azioni difficili, non accadranno mai da sole.
Come in tutti i progetti che richiedono costanza, serve un piano.
CONSIGLI OPERATIVI
Parlando di piani, perché il cambiamento avvenga, bisogna renderlo pratico. Ecco cinque strategie semplici che possono aiutare a rompere l’inerzia:
1. BLOCCHETTO-TIMER
Imposta un timer di 20 minuti e affronta una zona piccola: un cassetto, una mensola, una scatola. Poi fermati.
L’obiettivo non è finire tutto, ma iniziare. L’azione sblocca la volontà.
2. POST-IT CON SCADENZA
Applica un post-it con una data limite su ciò che dubiti di buttare. Se entro quella data non lo usi, è tempo di lasciarlo andare.
3. FOTO-RICORDO + OGGETTO SIMBOLICO
Fotografa ciò che rappresenta un ricordo e conserva solo un oggetto significativo. Il resto, donalo o smaltiscilo.
4. BUDGET DI LIBERAZIONE
Se la quantità di oggetti ti sopraffà, pianifica un piccolo budget per farti aiutare da qualcuno. Anche 30 euro al mese per pochi mesi possono bastare per uno sgombero professionale.
5. REGOLA 2-5-10
Liberati di 2 oggetti oggi, 5 domani, 10 nel weekend. I numeri piccoli ingannano la mente e costruiscono costanza.
METTERE ORDINE FUORI, METTERE ORDINE DENTRO
Quando facciamo spazio fisico, accade qualcosa anche dentro di noi.
Ogni oggetto lasciato andare alleggerisce un pensiero, una parte di passato, una storia che non serve più a definire chi siamo oggi.
Una casa ordinata non è solo esteticamente più gradevole: è un ambiente che favorisce calma, chiarezza e concentrazione.
Liberarsi di ciò che è superfluo è un atto di presenza. Significa dire a se stessi: “Scelgo cosa resta nella mia vita”.
E questo vale per gli oggetti, ma anche per i rapporti, i progetti e le abitudini che non ci appartengono più.
Come ricorda un principio della psicologia ambientale, l’ordine esterno sostiene l’equilibrio interiore. Non si tratta di diventare minimalisti, ma di ritrovare misura, senso e spazio.
“IL VALORE DI CIÒ CHE LASCIO ANDARE”
Buttare via non è dimenticare, è riconoscere che un ciclo si è chiuso.
Ogni oggetto lasciato andare è una promessa: che farai spazio a qualcosa di nuovo, a qualcuno di importante, o semplicemente a te stesso.
E come diceva Terzani, nel suo libro La fine è il mio inizio, “dell’oggetto in sé non ci sentivamo che dei temporanei custodi”.
Forse è proprio questo il senso dell’ordine: riconoscere ciò che resta, anche quando lasciamo andare.
Ek.
RIPRODUZIONE RISERVATA.
