Vivere un lutto è una delle esperienze più complesse che attraversiamo nella vita. Ma che dico complessa, il lutto fa schifo. Anche quando crediamo di essere pronti, la mancanza arriva come un silenzio improvviso, un pugno nello stomaco, nodi in gola difficili da sciogliere: un consiglio che non possiamo più chiedere, una voce che non sentiamo più, un gesto quotidiano che non tornerà, un abbraccio nel quale non potremo più rifugiarci. Nel tentativo di colmare questo vuoto, la tecnologia sta provando a fare un passo avanti (leggi anche l’articolo “tecnologia e libertà: chi guida chi“) che fino a poco tempo fa avremmo ritenuto impossibile. Sono nate app e piattaforme di intelligenza artificiale che permettono di creare avatar digitali dei defunti, programmati per parlare, rispondere, ricordare e interagire come se fossero ancora accanto a noi.
Per alcuni si tratta di uno strumento confortante; per altri, di una deriva inquietante. Le reazioni sono contrastanti, ma una cosa è certa: questa evoluzione merita di essere compresa a fondo, sia dal punto di vista emotivo che da quello etico, psicologico ed economico.
COSA SONO QUESTE APP E COME FUNZIONANO
Le applicazioni che permettono di creare un avatar di una persona defunta partono da un presupposto semplice nella teoria, ma complesso nella pratica. Raccolgono una serie di materiali digitali, fotografie, video, audio, messaggi, e-mail, post social, e li utilizzano per addestrare un modello di intelligenza artificiale capace di imitare il modo di parlare, ragionare ed esprimersi della persona originale.
In alcuni casi l’avatar è soltanto testuale. In altri parla con voce sintetica ricostruita tramite audio reali. Le versioni più avanzate mostrano un volto animato in 3D o video generati automaticamente, sincronizzati con il movimento delle labbra.
L’obiettivo dichiarato è offrire un senso di continuità emotiva, permettendo ai familiari di “continuare la conversazione” con chi non c’è più. Un concetto molto vicino, in psicologia, alla teoria del “legame continuo”: l’idea che, anche dopo la morte, manteniamo un rapporto interiore con la persona amata. La differenza è che, in questo caso, il legame diventa un interlocutore digitale.
LE APP PIÙ CONOSCIUTE: DAI GRIEFBOT AGLI AVATAR PREPARATI IN VITA
2WAI (TWO-WAY): L’AVATAR GENERATO DA POCHI MINUTI DI VIDEO
È una delle app più discusse. Consente di creare un avatar parlante partendo anche da pochi minuti di video della persona originale. L’avatar può rispondere in tempo reale, imitando voce, tono ed espressioni. Ha ricevuto grande attenzione mediatica e allo stesso tempo critiche severe, perché il rischio di dipendenza emotiva è concreto, soprattutto nelle fasi più delicate del lutto.
HEREAFTER AI: AVATAR CREATI CONSAPEVOLMENTE
HereAfter AI permette di registrare in vita una serie di risposte e racconti personali, trasformandoli in un “Life Story Avatar” utilizzabile dopo la morte. Non ricostruisce la persona senza consenso: è l’individuo stesso che decide cosa lasciare ai familiari.
STORYFILE: L’AI CHE RISPONDE CON VIDEO REALI
StoryFile funziona tramite centinaia di domande poste a una persona ancora in vita. In futuro, familiari e amici possono fare domande al sistema e ricevere in risposta un video reale registrato in precedenza. È già stato utilizzato persino per far “rispondere” una persona durante il proprio funerale.
PROJECT DECEMBER, YOU ONLY VIRTUAL E ALTRI GRIEFBOT (servizi Griefbot)
Project December e You Only Virtual appartengono alla categoria dei “griefbot”: chatbot addestrati su messaggi, email e contenuti digitali della persona defunta. Sono meno visivi, ma molto più simili a una conversazione quotidiana. In alcuni casi hanno generato forte impatto emotivo, con utenti che hanno sviluppato una relazione prolungata con il bot, rischiando di rimanere bloccati nelle fasi iniziali del lutto.
IL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO
Il dolore del lutto è una delle emozioni più complesse da gestire. La morte interrompe una relazione, ma non spezza il legame emotivo. È naturale continuare a “parlare” interiormente con chi non c’è più. Le app di questo tipo trasformano quel dialogo interno in una conversazione digitale.
(leggi anche: quando la tecnologia ci stanca, come ritrovare un ritmo umano)
QUANDO POSSONO AIUTARE
Uno strumento di questo tipo può offrire un supporto nei momenti immediatamente successivi alla perdita. Può dare un senso di continuità, accompagnando la persona nell’impatto emotivo dei primi giorni, trovando talvolta piccoli momenti di sollievo o delle prime settimane. In alcuni casi può aiutare a elaborare i ricordi, a raccontarsi, a sentirsi meno soli.
QUANDO POSSONO CREARE DANNI
Gli studi sul fenomeno dei griefbot mettono in evidenza rischi concreti. Alcune università hanno segnalato possibili effetti destabilizzanti, come l’incapacità di distinguere ricordo e simulazione digitale, o la creazione di una dipendenza emotiva. Per alcune persone fragili, l’avatar può diventare un “rifugio” da cui non riescono più a uscire.
IL RISCHIO DI RISCRIVERE I RICORDI
Un avatar non è la persona reale: è una ricostruzione statistica di ciò che quella persona potrebbe dire. Se il sistema risponde in modo incoerente o improprio, può alterare la memoria autentica, creando confusione o falsi ricordi.
L’ASPETTO ECONOMICO: IL BUSINESS DELL’ALDILÀ DIGITALE
Il settore del “digital afterlife” è in rapida espansione. Nel mondo anglosassone è già considerato un comparto emergente all’interno degli investimenti tecnologici.
Le stime più recenti indicano che:
- Il settore dei servizi funerari digitali ha superato 1,5 miliardi di dollari nel 2024.
- La crescita prevista per i prossimi anni è a doppia cifra.
- I modelli di business più diffusi prevedono abbonamenti, caricamenti dati a pagamento e pacchetti premium per avatar più avanzati.
- Alcuni analisti considerano queste app una possibile estensione dei servizi di salute mentale, un mercato enorme nei soli Stati Uniti.
Questo apre interrogativi etici importanti: monetizzare il dolore delle persone è un terreno delicato e richiede equilibrio, regolamentazione e trasparenza.
PRO E CONTRO RIASSUNTI
I lati positivi di queste tecnologie riguardano soprattutto la possibilità di conservare la memoria familiare, ascoltare storie e ricordi tramandati direttamente, trovare un supporto emotivo nei primi momenti del lutto e utilizzare strumenti più rispettosi quando sono creati con il consenso esplicito della persona in vita. Tuttavia, accanto ai potenziali benefici, esistono anche rischi importanti: la dipendenza emotiva, il blocco del naturale processo di lutto, la confusione tra ricordo e simulazione digitale, la mancanza di consenso da parte della persona defunta e l’uso di dati estremamente sensibili in un settore ancora poco regolamentato.
RIFLESSIONE FINALE
La possibilità di parlare con chi non c’è più è un sogno che attraversa la storia dell’umanità. È naturale essere attratti da strumenti che promettono di colmare un’assenza così dolorosa. Ma è altrettanto importante ricordare che la tecnologia non potrà mai sostituire davvero una presenza reale.
Queste app possono essere un ponte temporaneo, un aiuto momentaneo o un archivio prezioso di ricordi. Non devono però diventare una scorciatoia per evitare il dolore o una gabbia in cui restare intrappolati.
Come scriveva Isabel Allende, “La morte non esiste, la gente muore solo quando viene dimenticata.” È un modo per ricordarci che ciò che amiamo davvero non scompare mai del tutto: resta nei gesti, nelle parole, nei dettagli che abbiamo custodito senza neanche accorgercene.
Accettare la perdita fa parte della nostra crescita emotiva. La tecnologia può accompagnarci, ma non può sostituire il valore di un legame autentico fatto di gesti, sguardi e presenza viva.
Ek.
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