Dom. Dic 7th, 2025

LE AZIENDE GUARDANO SEMPRE MENO LE ORE E SEMPRE PIÙ I RISULTATI: È MERITOCRAZIA IN ITALIA?

Bilancia con le parole “Time” e “Results” che rappresenta il passaggio dal lavoro misurato a ore al lavoro basato sui risultati
Una rappresentazione simbolica del passaggio dal lavoro basato sul tempo al lavoro orientato ai risultati.

UNA CORNICE DI PARTENZA PERSONALE

Quante volte anche tu avrai pensato che misurare il lavoro in ore, invece che nei task realmente completati, sia ormai un approccio superato? Negli ultimi tempi mi sta capitando di ascoltare sempre più racconti di aziende che hanno smesso di controllare quante ore si resta alla scrivania e hanno iniziato a concentrarsi su ciò che ognuno riesce davvero a produrre. È un cambiamento che fino a poco tempo fa sembrava distante dalla mentalità italiana, ancora molto legata alla presenza fisica, alla timbratura e alla cultura del “restare finché resta il capo”.

Questo tema emerge spesso nelle conversazioni professionali: molte persone si chiedono se anche in Italia stia nascendo una nuova sensibilità verso la meritocrazia, intesa non come competizione aggressiva, ma come riconoscimento autentico del valore generato. Questo articolo prova a rispondere proprio a questa domanda, osservando cosa sta accadendo nel mondo e che cosa sta accadendo, o non sta accadendo, da noi.


LE AZIENDE SI STANNO SPOSTANDO DALLE ORE AI RISULTATI

Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, il modo di lavorare è cambiato radicalmente. Lo smart working e la possibilità di lavorare in modo ibrido hanno reso evidente che il controllo del tempo non è un indicatore efficace di produttività. Molte aziende internazionali hanno iniziato a riconsiderare le proprie metriche e a puntare su un approccio basato sugli obiettivi, sull’autonomia e sulla qualità del lavoro svolto. L’attenzione si sta spostando dal semplice conteggio delle ore a un’analisi più accurata dell’output reale e del valore creato.

Questa trasformazione non nasce dal nulla. Studi recenti mostrano che, quando si lascia spazio all’autonomia e si definiscono obiettivi chiari, i lavoratori tendono a essere più motivati, più produttivi e più focalizzati. La produttività per ora cresce, la qualità del lavoro migliora e anche l’engagement interno aumenta. Per questo il tema della meritocrazia in Italia diventa sempre più attuale: la domanda è se e come questo cambiamento possa radicarsi anche nel nostro Paese.


PERCHÉ IL MONDO SI STA MUOVENDO VERSO LA CULTURA DEL RISULTATO

Se guardiamo agli Stati Uniti, al Nord Europa o a diverse economie asiatiche, emerge un quadro molto chiaro: il lavoro viene valutato sempre più attraverso obiettivi misurabili, risultati concreti e progetti completati. Gli indicatori di performance stanno sostituendo la vecchia logica basata sulle ore, perché permettono di capire meglio il valore effettivamente generato dal singolo e dal team.

Quando il lavoro è organizzato in questo modo, si crea un circolo virtuoso. I lavoratori si sentono più responsabilizzati e sono incentivati a produrre risultati concreti, non a mostrare presenza. Le aziende ottengono una produttività più alta e più stabile. E il turnover tende a diminuire, perché le persone percepiscono un riconoscimento reale del proprio contributo. Questa dinamica ha portato molte organizzazioni internazionali ad abbandonare il controllo del tempo a favore di un approccio più moderno e competitivo.


PERCHÉ IN ITALIA IL LAVORO SI MISURA ANCORA IN ORE

L’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, si muove più lentamente verso questo modello. Le ragioni sono profonde e radicate nella storia culturale, nelle norme e nella struttura del mercato del lavoro.

La prima motivazione è culturale: in Italia esiste una tradizione molto forte che associa la dedizione al lavoro con la presenza fisica e con il sacrificio. Restare in ufficio fino a tardi è stato per anni sinonimo di impegno, indipendentemente dai risultati ottenuti. Questa mentalità ha alimentato una forma di presenzialismo che ancora oggi influenza molte realtà lavorative.

Il secondo motivo riguarda la normativa. Gran parte dei contratti collettivi italiani è costruita sul monte ore, sugli straordinari e su una struttura che lega diritti e tutele alla presenza, non agli obiettivi. In un sistema di questo tipo è naturale che le ore diventino l’unità primaria di misura, a scapito della produttività effettiva.

Un terzo elemento è la scarsa diffusione dei sistemi formali di valutazione della performance. Molte piccole e medie imprese non utilizzano indicatori oggettivi, piani di obiettivi o sistemi strutturati. In assenza di strumenti adatti, valutare la qualità del lavoro diventa complesso e la misurazione del tempo rimane la soluzione più intuitiva.

A tutto questo si aggiunge un livello relativamente basso di digitalizzazione, che rende difficile monitorare processi, avanzamenti e risultati in modo trasparente e continuo. E, infine, c’è un aspetto legato alla leadership: in molte realtà italiane sopravvive uno stile di gestione basato sul controllo, che limita l’autonomia e non favorisce un approccio orientato ai risultati.


PRO E CONTRO DEL LAVORO BASATO SULLE ORE

Il modello basato sulle ore non è del tutto privo di vantaggi. In molte realtà, soprattutto nelle piccole aziende, è più semplice da gestire e da regolamentare. Inoltre, tutela i lavoratori da potenziali abusi, perché stabilisce confini chiari su orari e straordinari. Per alcune mansioni manuali o altamente operative, le ore rimangono una metrica efficace, perché più tempo corrisponde effettivamente a maggiore produzione.

Tuttavia, questo modello presenta anche diversi limiti. Innanzitutto, non riflette il valore reale generato: una persona può essere presente molte ore senza essere particolarmente produttiva, mentre un’altra può ottenere ottimi risultati in metà del tempo. Questo porta a distorcere la percezione del merito e rischia di demotivare chi lavora meglio o più velocemente. Il presenzialismo diventa spesso più importante del contributo effettivo, con effetti negativi sulla competitività complessiva del Paese. Inoltre, un mercato del lavoro basato sulle ore risulta poco attrattivo per i giovani talenti, che cercano modelli più moderni fondati su autonomia, responsabilità e riconoscimento del merito.


SI PUÒ PARLARE DI MERITOCRAZIA IN ITALIA?

Nonostante l’Italia sia ancora indietro rispetto ad altri Paesi europei in termini di meritocrazia, alcuni segnali di apertura stanno emergendo. Diverse grandi aziende stanno iniziando a implementare sistemi di valutazione più trasparenti e strutturati, lo smart working ha accelerato l’adozione di modelli basati sugli obiettivi e le nuove generazioni stanno portando nel mercato del lavoro una richiesta sempre più forte di equità, chiarezza e riconoscimento del valore reale.

Il percorso è lento, ma la direzione appare più definita rispetto al passato. La sfida non è rifiutare la dimensione temporale del lavoro, ma integrare una visione più matura del merito, capace di valorizzare l’impatto e la qualità, e non solo la presenza.


RIFLESSIONE FINALE: UN MERITO CHE METTE AL CENTRO IL VALORE

La transizione da un lavoro misurato in ore a un lavoro misurato in risultati richiede un cambiamento culturale profondo, nuovi strumenti e una mentalità più orientata alla fiducia e alla responsabilità. L’Italia sta compiendo i primi passi, con cautela ma con un orientamento più chiaro rispetto al passato. L’obiettivo non è eliminare le ore dal vocabolario del lavoro, ma costruire un sistema che riconosca il valore in modo più equo e trasparente.

Come ricordava l’economista Robert Solow:

“La produttività non è tutto, ma nel lungo periodo è quasi tutto.”

di ErikaStreppa

Ciao sono Erika, questo blog si chiama “Cose Così” perché qui trovi davvero un po’ di tutto: dall’attualità alla musica, dalla politica alle curiosità passando per libri, economia, organizzazione e riflessioni. Sono un ingegnere con un master in economia, ma soprattutto una persona curiosa che ama osservare il mondo e raccontarlo in modo semplice e diretto. Mi piace prendere temi complessi, dall’economia ai piccoli dilemmi quotidiani, e renderli chiari, fruibili e vicini alla vita di tutti i giorni. La mia filosofia si racchiude nella frase “Se non riesci a spiegarlo in maniera semplice, allora non l’hai capito abbastanza bene”. Scrivo di “cose così”, argomenti che ci fanno riflettere, sorridere, discutere e, qualche volta, anche cambiare prospettiva.

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